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La parola dell’anno è Fiducia

Mai come quest’anno mi sono trovato a riflettere sul significato della parola fiducia. In ambito lavorativo ma anche personale. E quest’anno dobbiamo avere fiducia negli altri per uscire da una crisi epocale come poche altre nella storia dell’umanità. Provo a cercare conforto nell’analisi del significato stesso della parola.

Il primo termine che mi viene in mente è l’inglese Trust.

trust | trʌst |

In inglese Trust è qualcosa o qualcuno in cui avere fede a causa dell’affidabilità, della verità o di una qualche abilità incontrovertibile. Questo senso di fiducia è così forte che grazie ad essa un’essere umano acquisisce una posizione dominante. Ma è anche la fiducia di chi crede in Dio: “In God We Trust” è scritto sulle banconote americane. Sembra che sia una parafrasi di un salmo dell’Antico Testamento.

La banconota da 1 Dollaro con “In God We Trust”.

Trust in inglese è un termine anche legale: il Trust indica un rapporto giuridico nel quale una persona amministra dei beni per conto di terzi, un sistema giuridico della common law che indica qualcosa di più rispetto alla fiducia, un affido (o affidamento). Ma Trust assume un significato negativo, e probabilmente più noto, quando è inteso come una coalizione di imprese che unite vogliono limitare la concorrenza. E infatti parliamo di antitrust quando si configura una situazione di monopolio. Curioso che da una fiducia quasi sacra alla coalizione monopolistica il passo sia così breve.

Ma l’inglese ha tante parole molto specifiche e non ci può dare grandi soddisfazioni etimologiche. Per quello, c’è il greco antico. E infatti esiste in questa lingua una parola ricca di significati, tra cui fiducia.

πίστις | pistis |

La parola greca Pistis ha come significato proprio fiducia, la fiducia che si può dare, guadagnare, ma comunque una fiducia importante. Tanto che in Aristotele diventa fede, convinzione saldissima – in qualcosa o in qualcuno. Fin qui, il significato è simile a quello inglese, tanto che la Pistis è la fede religiosa e la garanzia ‘contrattuale’, un’assicurazione, una promessa e addirittura un giuramento. Questa parola in latino diventa Fides, la personificazione della lealtà, la Dea del pantheon romano che ha il suo tempio sul Campidoglio. Pensateci, la lealtà è ciò che ispira la fiducia: siamo passati in un battibaleno da un punto di vista soggettivo ad uno oggettivo.

La Dea Fides latina.

Tornando ai Greci, possiamo scovare qualche ulteriore significato di questa magnifica parola nei dialoghi platonici. Platone ci parla di Pistis quando ci delinea la sua Teoria della conoscenza, nel libro VI de La Repubblica. Secondo Platone, la conoscenza si articola in 2 stadi: l’opinione (δόξα) e la scienza propriamente detta (ἐπιστήμη). Ciascuno di questi 2 stadi è suddiviso in 2 parti: questa quadripartizione della conoscenza è raccontata metaforicamente nel celebre Mito della Caverna.

All’inizio del percorso della conoscenza gli uomini sono come prigionieri incatenati in una caverna buia, bloccati cosicché possano osservare solo il muro davanti a sé, dove sono proiettate da un grande fuoco delle ombre di forme che rappresentano oggetti, animali, piante o persone. Queste immagini sono le sole cose che possiamo conoscere in questo stadio, definito immaginazione (Εἰκασία). I prigionieri farebbero soltanto un piccolo passa avanti se rivolgessero l’attenzione direttamente alle forme che generavano tali ombre, perché resterebbero ancora nella caverna. Questa fase è ancora una conoscenza immatura, perché i prigionieri permangono all’interno della Caverna. Questa è la fase della Fede (Πίστις), ancora legata al divenire dell’esistenza e quindi lontano dall’essere scienza in quanto ricerca intellattuale.

Non dobbiamo stupirci: Platone conferiva maggiore importanza alle idee, agli archetipi, che non alle cose – che alla fine sono soltanto dei simulacri. Sembra quasi un declassamento rispetto all’altezza del termine Fiducia, eppure a ben vedere è un punto di vista che ne coglie un aspetto essenziale.

La Pistis di Platone è un atto di fede che non può essere “verificato” intellettualmente. Ed è questa la sua magia. La fiducia non ha a che fare con delle valutazioni razionali e intellettuali: quando diamo o chiediamo fiducia, lo facciamo con il cuore.

In questo senso, quest’anno mi ha insegnato che la fiducia è davvero un atto di fede. E per questo è così importante alimentarla. Perché fidarsi significa credere negli altri e dar loro una possibilità. È vero, è un rischio. Eppure tale fiducia innesca una serie di reazioni positive che non hanno nulla a che fare con la valutazione razionale del rischio. La fiducia si può perdere ma si può anche recuperare e noi essere umani siamo in grado di avvertire quando c’è o quando manca.

Ci sono poche cose più belle di un atto di fiducia incondizionata: pensate alla fiducia tra amanti o tra genitori e figli. È proprio quando un bambino è ‘in fiducia’ che inizia a camminare da solo.

Quante fantastiche cose potremmo fare, come umanità, se solo ci fosse più fiducia negli altri?

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World

La tecnologia ci fa davvero bene durante il lockdown?

La risposta potrebbe sembrare semplice. Ma comincio ad avere dubbi che l’uso senza limiti della tecnologia sia davvero quello che ci serve adesso, tutti chiusi dentro casa per il lockdown da Coronavirus.

Intendiamoci, lo so benissimo che senza Houseparty l’aperitivo virtuale non si può fare, che Zoom ci ha finalmente abilitati allo smartworking, Disney+ è una figata e che i webinar su Webex sono l’unico modo che ci resta per imparare qualcosa (per ragazzi e adulti). Io sono un fan e assiduo utilizzatore di tutte queste tecnologie, anche e soprattutto di Slack e di Telegram.

E tutto questo va benissimo, perché connetterci con le altre persone è fondamentale, soprattutto durante quest’epidemia di Covid–19.

Eppure c’è qualcosa che non mi torna: perché dopo oltre un mese di lockdown mi sento sempre fermo al punto di partenza?

Dicono che cambiare il punto di vista, il frame, serva ad analizzare meglio la questione. Provo a farlo elencando qualche esempio.

Primo Esempio. In questo periodo leggo molti libri su carta – ne ho un sacco a casa pronti ad essere sfogliati e mai nemmeno iniziati – il che mi sta dando una soddisfazione inaspettata. Nel frattempo ho anche iniziato parecchi ebooks: non ne ho ancora finito nessuno.

Secondo Esempio. Provo a giocare con i videogame con i miei figli per condividere qualche momento di gioco con loro e perché mi diverte. Ma non è nulla in confronto alle chiacchierate a letto con Isabella o alla “lotta” con il piccolo Ettore.

Terzo esempio. Sto continuamente in videocall per motivi personali e lavorativi: mai come ora “vedo” così tante persone. Eppure le cose più importanti in questo periodo le ho concordate e decise al telefono. E nulla, adesso, è meglio di una telefonata con un vecchio amico.

Ora che siamo in lockdown, la fisicità primitiva e le tecnologie “analogiche” sembrano vincere sistematicamente contro le diavolerie più recenti. Sarà un caso? Non credo.

Penso che questo fenomeno abbia qualcosa a che fare con il bisogno di un ritorno alle funzioni basilari del nostro cervello e di creare qualcosa di tangibile per sentirsi appagati.

Il ritorno alle “origini” è facile da spiegare: la nostra fisicità è messa sotto assedio nell’era del distanziamento sociale. Ma siamo chiamati a resistere: siamo dotati di un corpo fisico e dobbiamo usarlo in tutti i modi possibili per sentirci vivi e non impazzire.

Invece il bisogno di essere “creativi” è più subdolo: nell’era dell’iperinformazione gli input dall’esterno sembrano infiniti. Ma forse in modo inconscio abbiamo capito che “guardare” i contenuti non ci basta più e per fare un uso soddisfacente delle tecnologie a nostra disposizione dobbiamo “creare” qualcosa di veramente nostro. Può essere un video, una foto, un disegno, una canzone o un post come questo. Guardare i post degli altri non ci basta più, il rischio è stare ore davanti agli schermi solo per sentirci svuotati.

Allora, i miei buoni propositi per il prossimo mese di lockdown saranno quelli di privilegiare la fisicità dove possibile – anche magari tornando agli appunti con carta e penna – e utilizzare le tecnologie a mia disposizione per creare nuovi contenuti di valore piuttosto che limitarmi a guardarli o leggerli passivamente.

E voi, che fate?

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Life

Covid-19 in Italia: cosa ci sta succedendo?

Appena un mese fa guardavamo con un po’ di distacco le immagini dell’epidemia di Covid-19 dalla Cina sperando di essere sufficientemente lontani. Non lo eravamo.

Ma cosa sta succedendo? Cosa ci sta succedendo?

Adesso ci troviamo chiusi in casa oppure in fila al supermercato in città altrimenti vuote, spaventati da un nemico invisibile che ti colpisce all’improvviso. Siamo nella stessa situazione dei nostri fratelli cinesi. E francesi, spagnoli o americani. L’unica colpa sembra essere stati troppo vicini ai nostri cari, aver stretto troppe mani o aver dato troppi abbracci. Il destino sembra crudele.

C’è una via d’uscita?

L’epidemia di Covid-19 farà il suo corso, che sarà doloroso ma inevitabile. E allora ci sarà una rinascita. Torneremo a fare cose adesso impensabili, come un picnic al parco.

Ma la sfida è non cercare la via d’uscita e cercare di vivere appieno questa situazione. Sarebbe bello poter raccontare che la parola cinese wēijī significa crisi e allo stesso tempo opportunità, perché racconterebbe esattamente la situazione attuale.

Il termine wēijī invoca sia il concetto di “crisi” che quello di “opportunità”. Questa affermazione è mutuata dalla errata convinzione che i due caratteri significhino uno “pericolo” e l’altro “opportunità”. Molti linguisti considerano questa idea una colorita pseudoetimologia, poiché  da solo non significa necessariamente “opportunità”.

Covid-19: Crisi e Opportunità

La Crisi è sotto gli occhi di tutti, non c’è bisogno di dirlo. E sarà una crisi sanitaria adesso ed economia da ora in poi. Le prospettive si fanno ogni giorno più tragiche, non ha senso nascondercelo.

Purtroppo però troppo pochi guardano il lato opposto: l’Opportunità. Opportunità di fare quelle cose che non abbiamo mai fatto, a casa o sul lavoro (che poi oggi, con lo smartworking, sono un po’ la stessa cosa). Opportunità di compiere grandi gesti di solidarietà e di confrontarci con le nostre paure più grandi.

Per me, che soffro di una leggera ipocondria, la situazione non è semplice (mi misuro la temperatura ogni mattina anche se sono chiuso in casa da oltre 2 settimane) e non voglio dirvi che sono felice. Ma voglio dirvi che invece cerco di accettare quello che ho e di godermelo in ogni momento. Perché non so quando questo finirà.

Cerco di godermi l’Adesso perché non so neanche come tutto questo finirà. V’invito a fare lo stesso. E a guardare un po’ meno i TG.

Se vi va, racconto come cerco di affrontare la situazione in alcuni video che sto postando sul mio canale Youtube. State bene e state a casa.

Aggiornamento 18.03 – Perchè proprio l’Italia? Perché così duramente? Se ve lo state chiedendo, uno studio potrebbe avere la riposta: in Italia gli anziani entrano molto più spesso in contatto con la popolazione più giovane. Nel nostro Paese molti figli grandi abitano ancora a casa dei genitori e il nucleo familiare si frequenta di più rispetto alla Germania o ai Paesi Scandinavi, ad esempio. Per approfondire

Aggiornamento 01.04 – Non è un pesce d’aprile: la Carnegie Mellon University ha messo a punto un sistema di intelligenza artificiale che cerca di misurare la capacità polmonare attraverso il microfono e quindi stimare la probabilità di avere patologie come il Covid-19. Questa è l’intelligenza artificiale che mi piace. Qui per provare l’app.

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Work

Coronavirus: cosa possono fare le aziende?

Il Coronavirus, com’era prevedibile, è arrivato anche in Italia. Sarà responsabilità delle istituzioni arginare l’epidemia. Ma cosa possono fare le aziende per tutelarsi?

Primo obiettivo: tutelare la sicurezza e salute dei lavoratori

Ai sensi del D.lgs. 81/2008 “è in capo al datore di lavoro, l’obbligo di tutelare i propri dipendenti dal rischio biologico eventualmente connesso alla prestazione lavorativa”. Ovvero, è responsabilità dell’azienda tutelare la salute dei propri dipendenti e collaboratori in casi come questo.

Un altro ruolo molto importante è quello di informare e formare tutta la forza lavoro sulle misure precauzionali adeguate.

Un’ottima fonte di informazioni certe e verificate è il sito del Ministero della Salute. Ci sono anche diversi video che è opportuno diffondere il più possibile.

Il punto di vista dell’Impresa

Per le aziende, soprattutto quelle più piccole, è fondamentale mantenere un minimo livello di produttività. In Italia ci sono tantissime PMI che possono rischiare molto per lunghi periodi di chiusura temporanea del luogo di lavoro, come nel caso estremo di quarantena forzata.

Più in generale, un’azienda deve darsi alcune priorità:

  • Garantire la sicurezza dei lavoratori
  • Mantenere il più possibile un livello di servizio ai clienti 
  • Mantenere in generale un buon livello di produttività
  • Supportare i partner in difficoltà (clienti e fornitori)

La prima soluzione più ovvia è quello dello smartworking, legale e regolamentato anche in Italia, ma che spesso viene visto ‘male’ dal datore di lavoro. E invece è questo il momento per introdurre il lavoro da casa per tutti, cercando anche di dotare tutti i dipendenti delle attrezzature adeguate per farlo (computer, accessi da remoto etc.).

Quali precauzioni e protocolli adottare in caso di Coronavirus?

In generale, le precauzioni sono quelle che abbiamo visto ovunque in questi giorni e sono ben riassunte in un ottimo poster sul Nuovo Coronavirus realizzato dal Ministero della Salute e dall’Istituto Superiore di Sanità.

Il poster sul Coronavirus realizzata dal Ministero della Salute e dall’ISS

Sempre sul sito ci sono anche le risposte alle domande più comuni sul Coronavirus.

Ma sarebbe anche utile che le aziende si dotassero di un vero e proprio protocollo nel caso si trovassero in zone colpite da ordinanze di pubblica sicurezza particolarmente restrittive. Molte aziende in Lombardia e Veneto si sono già attrezzate.

Alcune idee per un regolamento aziendale:

  • introdurre lo smartworking e limitare tutti gli spostamenti/trasferte
  • definire clienti o servizi prioritari che devono essere tutelati maggiormente
  • comunicare a clienti e partner i protocolli adottati per garantire reperibilità e un adeguato livello di trasparenza
  • definire priorità amministrative per tutelare gli aspetti finanziari della gestione operativa
  • identificare dei responsabili all’interno dei gruppi di lavoro per coordinare provvedimenti ulteriori

Infine, da comunicatore, raccomanderei anche di mantenere sempre il più possibile un livello di informazione costante e trasparente su quello che l’azienda sta facendo nel corso dell’emergenza.

Aggiornamento del 23.02 – Diverse persone mi hanno chiesto cosa fare in questi giorni per contribuire alle misure di contenimento, soprattutto se non ci si trova nelle zone rosse ma magari si lavora con aziende in Piemonte, Lombardia o Veneto. La precauzione più ovvia è ovviamente quella di limitare il più possibile gli spostamenti e le trasferte in quelle zone e sostituire gli incontri de visu con le conference call. È un buon modo per non creare ansie inutili ma allo stesso tempo mantenere in piedi tutte le attività lavorative programmate.

Aggiornamento del 24.02 – Piano di qualche azienda ha cominciato a riflettere sull’impatto di una quarantena forzata sui reparti eCommerce delle aziende. Un bell’articolo di Digiday ad esempio racconta che in Cina molte aziende hanno sostituito attività di comunicazione digitali con quelle fisiche (Outdoor, eventi etc.) e gli eCommerce hanno avuto un boom, perché le persone si fanno consegnare a casa tutto quello che prima acquistavano nel negozio. Mi viene in mente un semplice consiglio per le aziende: trovate modo di garantire la robustezza delle operazioni lato eCommerce e di coprire i bisogni dei vostri clienti in modo alternativo agli incontri fisici che saranno fortemente impattati dalle diverse politiche di sicurezza sanitaria.

Aggiornamento del 25.02 – Ho registrato una puntata del podcast Il Bernoccolo assieme ad Andrea Ciulu sul tema Nuovo Coronavirus. Potete trovarlo su Apple Podcasts o Spotify, oppure farlo partire dal player qui sotto.

Ascolta “#77 – Il Coronavirus contagerà i brand?” su Spreaker.

Aggiornamento del 28.02 – Un bell’articolo su HBR spiega cosa le aziende devono fare per prepararsi. Le cose più interessanti sono in fondo: il Covid-19 non sarà un caso isolato e cerchiamo di imparare qualcosa da questa situazione di emergenza.

Aggiornamento del 02.03 – Vodafone ha fatto un bel regalino ai clienti business: giga illimitati a supporto dello smartworking. Davvero una bella mossa!

Aggiornamento 07.03 – Molte aziende si stanno mobilitando per aiutare gli italiani ai tempi del Coronavirus: arrivano donazioni e agevolazioni da Esselunga, Unicredit, Xiami, TIM, Eni, UnipolSai e molte altre. Bella l’iniziativa di Google che rende gratuite le funzioni avanzate di videoconferenza Google Meet per gli utenti G Suite Business e G Suite Education. L’imperativo è andare avanti e contribuire il più possibile a frenare il contagio restando a casa e limitando ogni spostamento.

Aggiornamento 11.03 – Nuova puntata del Bernoccolo sugli eventi cancellati o posticipati. Cosa faremo in questi mesi? Potete trovarlo su Apple Podcasts o Spotify.

Listen to “#78 – Cancellato! Cosa succede agli eventi nel 2020” on Spreaker.

[photo by Craig Whitehead on Unsplash]

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Work

La Vision di un’azienda

Molti parlano di Vision. La definirei come qualcosa che stabilisce cosa è importante per un’azienda sul breve, medio e lungo termine. È una sorta di inclinazione (o una fissazione?) che permette di compiere alcune scelte invece di altre.

Lo spiega in modo conciso e efficace Simon Sinek nel video che riporto qui sotto.

Non è detto che la visione sia sempre ‘alta’, può capitare che in alcune aziende le scelte siano orientate puramente al profitto di breve termine. In tal caso l’azienda diventa miope e non può andare molto lontano.

Perché la Vision serve in un’azienda?

In un’azienda ogni giorno vengono prese molte decisioni. E quasi tutte hanno un’impatto sul presente e sul futuro dell’azienda stessa. Come far sì che tali decisioni vadano tutte nella stessa direzione? Eh già, la vision.

Non è però facile far sì che tutti, ma davvero tutti, condividano la vision dell’azienda in cui lavorano. Qualcuno è molto motivato da un approccio ‘alto’, qualcun altro invece è più cinico e disilluso. E poi qualche volta parliamo più di Mission (quella sì dovrebbe motivare). Ma non è detto che mission e vision non possano essere la stessa cosa – come ad esempio avviene per Apple (secondo Comparably).

Mission e Vision di Apple secondo il sito Comparably.

Il vero ruolo della Vision: backcasting

Una visione solida permette al management di passare dal forecasting al backcasting. Invece di cercare di prevedere come sarà il futuro, è più utile ed efficace:

  1. immaginare un obiettivo (un master plan da qui a 10 anni come fa Tesla, ad esempio);
  2. a partire dall’obiettivo immaginare una serie di processi decisionali, regole e pianificazioni utili ad arrivare a quell’obiettivo;
  3. mantenere degli step intermedi per verificare che la visione di lungo termine sia rispettata.
Il backcasting parte dalla vision per pianificare tutte le scelte.

In questo modo possiamo influenzare davvero ogni scelta non tanto perché tutti in azienda abbiano la visione stampata nella mente, ma perché sono le stesse regole del gioco a fare in modo che gli obiettivi di tale visione possa essere raggiunti.

Photo by Bec Ritchie on Unsplash

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Life

2020 = Dieci per Dieci

Le innovazioni tecnologiche che mi hanno cambiato la vita dal 2010 al 2020

Di solito non scrivo post di inizio anno, ma questa volta farò un’eccezione. L’occasione è ghiotta: sta finendo un decennio e stiamo entrando nei mitici anni ’20. Siamo nel 2020!

Un secolo fa iniziavano gli anni del Jazz che ci portarono dritti dritti al drammatico 1929. Detto tra noi, speriamo che questa volta ci vada meglio.

Non mi capita spesso di pensare al passato ma vista l’età (mi avvicino ai 37), è giunto il momento d’iniziare. Gli ultimi 10 anni — e ancora di più gli ultimi 20 anni — sono stati rivoluzionari. La vita di noi tutti è cambiata così tanto che facciamo fatica a rendercene conto. Sono nati nuovi mezzi di comunicazione e nuove tecnologie hanno avuto un impatto estremamente profondo sulle nostre vite.

Come sono arrivato nel 2020

Unsplash

Nel 2009 il mondo era un pochino diverso, più di quanto ci sembri a prima vista. Non c’erano gli iPad, gli smartphone erano un po’ più piccoli, Alexa era un nome come un altro, Tesla era solo un inventore del 1800 e Facebook era roba da giovani.

The 10 Tech Products That Defined This Decade
There’s no shortage of products that are hailed by their creators as “revolutionary” or “totally transformative” upon…www.wired.com

Anche per quello che mi riguarda personalmente, di cose ne sono cambiate parecchie. Rientrato da Toronto ripresi a fare il lavoro che adoro — con un bel progetto per HRS.com — e soprattutto conobbi la donna che amo e che mi ha dato 4 figli (in 10 anni succedono un sacco di cose!).

Toronto at First Glance
All about Toronto: TTC, clubs, restaurants, shops and moretorontoatfirstglance.wordpress.com

Dal 2010 al 2019

Facciamola questa lista: ecco le dieci innovazioni tecnologiche che in un modo o nell’altro mi hanno cambiato la vita negli ultimi 10 anni.

  1. iPad è stato all’inizio poco più di uno smartphone con lo schermo gigante ma man mano è diventato il principale strumento tecnologico che uso durante la giornata: per prendere appunti, svolgere tutti i task per cui uso anche il computer, leggere libri, giornali e guardare film. Ah, poi Fortnite gira molto meglio che sul Mac.
  2. Il Cloud sia per utilizzo personale che lavorativo (adoro G Suite!) è stata ‘una salvata’. Quanti documenti recuperati, quante foto ritrovate e quante presentazioni chiuse oltre l’ultimo momento (durante la presentazione, non appena prima :D).
  3. Native advertising è stata la grande innovazione nella pubblicità dell’ultimo decennio e sembra poter cambiare per sempre il modo in cui le persone fruiscono dei contenuti. Un po’ è stato così: su Facebook è presente solo pubblicità ‘tecnicamente’ nativa (perché assomiglia ai contenuti circostanti). E per anni con Arkage in Italia siamo stati pionieri del ‘Native’. Che poi questa innovazione sia stata in generale un bene per l’umanità, non ne sono così convinto, forse perché è stata una rivoluzione soltanto a metà.
  4. Blockchain è un’innovazione che mi ha aperto la mente: la possibilità di rendere unici gli ‘oggetti’ digitali al pari di quelli ‘fisici’ significa che potremmo disegnare mondi virtuali che avranno le stesse regole del mondo reale. Non si tratta soltanto di criptovalute: disruptive!
  5. Netflix è LA TV della casa: i miei 4 bimbi non sanno cosa significhi guardare un programma televisivo interrotto dalla pubblicità o con un orario d’inizio predefinito. Intere generazioni di bambini stanno crescendo su questo paradigma: streaming e on-demand.
  6. Music Streaming è il modo in cui ascolto musica da anni: prima è stato Spotify, poi Apple Music e ora Amazon Music (e TIDAL). L’idea di comprare un CD non mi manca per niente, però ricordo l’emozione del primo acquisto su iTunes (era questo album dei Prodigy).
  7. Amazon Prime è un’innovazione più subdola e meno visibile ma è diventato il modo ‘predefinito’ con cui praticamente facciamo il 90% degli acquisti — spesa inclusa grazie al fantastico Amazon Prime Now.
  8. Apple Watch è il mio compagno di running perfetto: pesa poco, monitora i parametri vitali e mi motiva ad allenarmi. È davvero uno strumento di fitness prezioso e non voglio immaginare come sarebbe riallenarmi senza.
  9. B Corp è una certificazione che come Arkage abbiamo ottenuto nel 2017 ed è basata su un assessment (BIA) di valutazione dell’impatto di un’azienda su pianeta-persone-società. Questo algoritmo ha cambiato il mio modo di pensare alle imprese come motori di cambiamento e d’impatto positivo. Grazie a Paolo di Cesare per avermi fatto ‘scoprire’ questa innovazione.
  10. Alexa è entrata nella casa poco tempo fa, in relazione ad esempio al’iPad, ma ha profondamente cambiato il modo in cui tutta la mia famiglia ascolta la musica (perfino il piccolo Ettore, 4 anni, ormai chiede le canzoni ad Alexa) e non solo — usiamo Alexa anche per le notizie, le tabelline o il meteo ad esempio.
Alexa prima del 2020
Unsplash

Tutte queste innovazioni sono decisamente meno ‘fisiche’ di quelle del decennio precedente (a parte iPad e Apple Watch, hanno a che fare più con il software che con l’hardware) e penso che abbiano a che fare soprattutto con il tempo che trascorro con le persone che amo (in famiglia) o a cui voglio bene e di cui ho stima (al lavoro).

E dal 2020 al 2030?

prossimi dieci anni potranno davvero essere incredibili. La sfida sarà, un po’ per tutti a mio avviso, quella di utilizzare la vita privata e la vita lavorativa per fare del bene, per il pianeta e per noi tutti. Magari abbandonando l’ossessione della distinzione netta e quantitativa del work-life balance e invece valorizzando la qualità del tempo che trascorriamo assieme agli altri.

Nel nuovo decennio vorrei portare con me tutto lo stupore e la meraviglia delle grandi novità che ho vissuto in questi ultimi anni e cercare di coinvolgere positivamente più persone possibile.

Buon 2020

buon 2020
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